Avrei giurato e spergiurato che ci fosse dentro pinot nero. Insomma, aveva si un gran bel naso, ma quello che poi ti rimane, carta, penna e ricordi alla mano, è un corpo imponente ed una presenza scenica rara. Il mio amico che ha diviso con me questa bottiglia (certe bottiglie non possono essere bevute da soli, ci vuole qualcuno che sappia apprezzarle con cui condividerle) ha drizzato la schiena, allargato le spalle, braccia conserte e mi ha detto: <<questo vino me lo immagino messo così>>. Mai definizione fu più azzeccata, mai manuale AIS in grado di definire meglio.
Questo millesimato 2007 non riesco, ancora oggi a distanza di una notte, a togliermelo dalla testa e dal naso. Ogni tanto i cassetti della memoria, rimasti evidentemente aperti, mi rimandano quelle sensazioni provate, facendomi per un momento credere di essere ancora reali.
La bottiglia di Trentodoc Ferrari “Riserva Lunelli” in questione, regalo tanto inaspettato quanto gradito, l’avevo conservata per una occasione speciale, fatta coincidere con un convivio a due di amanti del metodo classico. Dalla cantina è uscita vincitrice a dispetto di un paio di concorrenti mica male, delle quali sicuramente avrò di che annoiare su queste pagine.
La scelta si è rivelata subito in grado di colmare le aspettative, cosa sempre rischiosissima quando si parla di vino…ah, quante bottiglie ci hanno deluso! E invece, il tappo che esce silenzioso nella quiete di una notte d’estate fra i Castelli Romani, ha subito affermato chiaramente e con voce stentorea il tenore di quanto rimasto custodito in quella bottiglia negli ultimi 11 anni.
Il timbro olfattivo è quello che ci si aspettava, quasi quasi sembrava che il vicino forno di Valentino il Mago avesse lasciato le finestre aperte, tanto il pane fresco in lievitazione si è materializzato in un istante ai nostri occhi immaginari. Insieme ad un bouquet di fiori di campo e decise note di tostatura ma mai amare, di pasticceria secca. Ma un 2007, nell’anno 2018, è come mio figlio che esce da scuola dopo otto ore ed ha bisogno di correre per sfogare l’istinto tenuto represso dalla mattina. E così, a saperlo aspettare, si manifesta e rende realtà il potenziale. Che poi è una virata impressionante su note di sottobosco, di foglie secche che nascondono gemme di porcini crudi. Di quelli belli, grandi e sodi, che il profumo di terra e vita senti una volta e non dimentichi più. Riconoscimento talmente nitido, potente ed evidente che non sempre capita. Il perlage fino e continuo, interminabile e tangibile, fa il resto.
Si potrebbe anche non berlo, tanto questo è già un piacere.
E invece, abbiamo ceduto alla tentazione. Il sorso, pur nella sua squisitezza, è forse la parte meno sorprendente. Teso e sempre estremamente bilanciato, freschissimo, divertente ma mai nervoso, piuttosto allegro. Nessun picco, una bocca piena e sapida, un boccone. E’ la bocca finale ad essere straordinaria, con quelle note di fungo e pasticceria secca che tornano, e lo fanno per restare. Anche oggi, dopo una notte nel bosco.
Abbinamento: spaghetti integrali con sugo di rana pescatrice, vongole e fasolari. Merluzzo in salsa all’olio d’arancia con verdure spadellate. Ma questo reggerebbe di tutto …