Degustare vino, nel senso di berlo con attenzione nel tentare di comprenderlo, richiede tempo, spazio e lucidità. E’ per questo motivo che i termini ‘bere’ e ‘degustare’ sono legati da una disequazione. Quando si beve, lo si fa e basta, senza tanti pensieri o attenzioni, e quindi probabilmente ci si diverte di più. Quando si degusta, invece, occorre astrarsi, isolarsi in un certo senso, chiudere i sensi all’esterno e concentrarli nel bicchiere. A me piace farlo, ma indubbiamente richiede concentrazione e tutto sé stessi.
Io che fortunatamente non faccio questo per lavoro ma semplicemente per passione, ho quindi ogni tanto bisogno di fermarmi un attimo; stare un po’ di tempo senza vino, pulirmi, resettarmi in un certo senso per essere nuovamente pronto, senza eccessivi ingombri che starano. Un po’ come il palato ‘perfetto’ dopo un sorso o un boccone, senza eccesso né di dolce né salato, neutro. La condizione ideale per ‘giudicare’ (ma in un certo senso, anche per apprezzare) il vino.
Ok, ora che ho sistemato la motivazione ufficiale nelle prime righe di questo post, posso anche dirvi la verità. Bere vino ingrassa (ma va?) e ogni tanto un po’ di pausa fa bene … ok, avevo promesso la vera motivazione … allora eccola: il corpo e il medico impongono momenti di riflessione, ecco, l’ho detto.
Ma fortunatamente i momenti di riflessione, seppur giusti o dovuti, terminano. E allora viene il momento di scegliere da quale bottiglia ripartire. Io stavolta ho preso dalla mia cantina una bottiglia di Pinot Nero Oltrepò Pavese DOC Carillo della Tenuta Frecciarossa in Casteggio (PV), pieno Oltrepò Pavese, per una volta visitato senza pensare agli spumanti metodo classico. E questa bottiglia ha messo in seria crisi la mia determinazione nell’affrontare questi momenti di riflessione, soprattutto il prossimo al quale sto già, ahimè, pensando.
Perché questa è una di quelle bottiglie che, oltre che il corpo, scalda l’anima. Forse, perché è un vino di casa, nel senso più alto che posso attribuire al termine ‘casa’. Un vino della tranquillità, del piacere quotidiano, dello stare bene con sé stessi. Che poi, almeno così la penso io, è lo scopo ultimo di un vino, se di scopo si può parlare.
Un vino croccante, sia al naso che nell’assaggio. Bel frutto rosso lucido, ma anche note minerali, quasi polverose, a terminare uno spettro olfattivo non ampissimo ma di sicura appetibilità. In bocca è vivace ma senza disdegnare in piacevolezza, ottima compostezza con il fisico del pinot nero ad ancorare a terra picchi di alcol a volte esuberanti.
Bere pinot nero in Italia è un po’ come giocare al lotto. Questo non sarà il premio che ti permette di vivere di rendita, ma qualche soddisfazione te la toglie.
Last but not least, e non è poco, lo portate via da qui a molto meno di quanto immaginiate. Salute!