Beh, se l’anno si vede dal principio, ci si prospetta un anno complicato, bello, ma complicato. Perché poche cose nella vita dividono come i vini, e questa bottiglia ci riesce molto più di altre.
Ma cominciamo dall’inizio e quindi dal Comune di Castiglion Falletto che ospita il cru (Monprivato, appunto) dal quale provengono le uve nebbiolo di questo Barolo 2004. Castiglion Falletto è probabilmente uno dei comuni più didattici (assieme a Barolo e La Morra, con particolare riferimento alle zone di Cerequio e Brunate che questi due Comuni condividono) per capire il Barolo o, sarebbe meglio dire, i Baroli. Perché questo incantevole paesino è sostanzialmente diviso a metà da una virtuale linea di demarcazione fra le due principali tipologie di terreno che caratterizzano l’areale del Barolo: quello ‘tortoniano’ che da vita a vini più giocati sull’eleganza, che necessitano di minori periodi di invecchiamento e quello ‘elveziano’, che invece origina generalmente vini con più potenza, struttura e, quindi, da tenere in cantina per un periodo molto più lungo al fine di goderne appieno le grandi qualità. A questo si aggiunge che i territori di stampo elveziano si trovano a sud dell’areale del Barolo, caratterizzato da altitudini maggiori, e questo ha ulteriore influenza sulla maturazione delle uve e, di conseguenza sulla acidità dei vini.
Per carità, sono solo linee guida generali e si sa come il mondo del vino sia pieno di eccezioni; ma sono linee guida che aiutano a comprendere il Barolo, o meglio i Baroli, e perché questi non siano tutti uguali né, tanto meno, costino alla stessa maniera.
Questa bottiglia, in questo anno, più di altre divide. Io l’ho assaggiata (e finita, in compagnia), guardata, rigirata, e da tutti i lati mi ha fatto la stessa impressione. Un’impressione molto diversa da una certa (mia) idea di Barolo elveziano. Non che dovesse essere per forza l’idea corretta, ma quella era e, se la devo dire tutta, ancora quella oggi rimane anche se il Monprivato mi ha mostrato un altro lato.
Il lato di un Barolo estremamente asciutto, più che elegante, quasi magro. Chiarissimo stampo francese, ma con una nota che mi ha lasciato spiazzato. Un’acidità decisamente imponente, spesso sovrastante in un equilibrio sicuramente non raggiunto (dopo 11 anni 11, mica 1). Va bene ricercare lunghezza e durata, ma rischiare una certa “scompostezza” è, forse, troppo. Beh, il vino non è certo scomposto, ma in alcuni tratti del sorso ci va vicino (scomposto nel senso di sbilanciato, ma anche, un filino nel senso di rapporto alcol/corpo). Se il tempo di affinamento non è ancora sufficiente a riequilibrare l’assaggio, di sicuro non ci riesce un corpo che non ti aspetti in una bottiglia di lì.
Anche il profilo olfattivo tarda a coinvolgere, mai sopra le righe. Originale di sicuro, visto che i sentori tipici della denominazione, la viola e i frutti neri, arrivano molto dopo un timbro evidentissimo e inaspettato di oliva nera quasi in salamoia e una ‘forestiera’ nota ematica.
Analoghe annate di zone limitrofe, penso ai Baroli di Tenuta Cavallotto o, allontanandosi un po’, a quelli di Conterno, sembrano davvero così diverse per riferirsi alla medesima denominazione.
Ho sempre pensato al Barolo elveziano come alla frescura oscura di una chiesa di campagna nel pieno di agosto. Quel senso di mistero e austerità che non ho trovato qui, dove tutto sembra già svelato, tanto che non sono sicuro di cosa aspettarmi da questa bottiglia più avanti negli anni. Non ci scommetterei sopra ossia, dovendo investire in future (e forse, anche present) di Barolo, mi rivolgerei altrove.