Non capita più così spesso di assaggiare quei sagrantini “made in terra e non in cantina”. Quelli che sono un pugno sui denti, una carezza sul palato e una presenza sullo stomaco. Gusto del grande pubblico, American style e moda del legno ci propongono sempre più vini addomesticati, quasi trasformati. Mentre il vero Sagrantino è puledro di razza pura, impossibile da addomesticare, solo da lasciar correre se si vuole avere la possibilità di cavalcarlo.
Due assaggi questa settimana, nel solco delle moderne interpretazioni. Più umile senza dubbio quello dell’Azienda Agricola Favaroni, misurato al naso, timido un bocca e comunque bignami del Sagrantino la notte prima degli esami, quando proprio non hai aperto libro. Quelle nozioni di base che ti fanno venire voglia di approfondire. Un passo, o forse più, avanti il Carapace di Tenuta Lunelli, naso splendido di cerasa e cioccolato fuso, bocca piena e lascito di liquirizia, china e carruba. Ma entrambi mostrano il tannino sempre un attimo dopo di quando te lo aspetti, mai sulle gengive e sempre sul passaggio di lingua. Segno evidente di interventi in cantina, per carità non un fatto negativo, ma un fatto che toglie un po’ di genuinità al Sagrantino. Che poi quella genuinità possa non piacere è altra storia. Certo che se nessuno ce la fa più provare…