A casa di Juliette Colbert di Maulévrier


Luciano Mallozzi (mannaggia a questa divisione AIS-FIS, che mi ha portato solo cose spiacevoli) mi ha sempre insegnato, fra le altre cose, che il vino è realtà e come tale è indissolubilmente legato al gossip. E il gossip, si sa, nasconde sempre un fondo di realtà.

Questa storia racconta che nel 1807 il Marchese di Barolo, tal Carlo Tancredi Falletti, sposa la francese Juliette Colbert di Maléuvrier, da allora nota come la Marchesa Falletti. Amante dei vini francesi (tanto per rammentare chi prima iniziò nella nobile arte) chiamo un enologo francese e, più o meno, gli disse: “fai di questo vitigno che abbiamo qui, quello che fai dei tuoi vitigni di Francia”. Tale fu il successo che una sera a casa sua, Camillo Benso Conte di Cavour, quasi confuse vino e decise di produrne in proprio. Da allora, Barolo.

Questi luoghi esistono davvero, nella realtà. Il destino anche esiste, e nei suoi tortuosi saliscendi capita che ti manda a lavorare a pochi chilometri da Castiglion Falletto, che da chi prende il nome penso sia chiaro.

Un pugno di case sulla cima di una collina, poi null’altro se non filari di nebbiolo. Il sole oggi splende e colora quella parte di collina che volge verso di me di una bellezza che fa quasi male. E’ la definizione più fulgida di bricco, mica quella che ti insegnano al corso per sommelier.

Giro lo sguardo, mi rendo conto che sono in mezzo ad un mare di colli, un mare di caseggiati sulla cima di colli. Un mare verde. Salgo ancora, un leggero affanno mi  coglie e mi fermo. Non doveva andare così, ma nella vita te ne accorgi solo dopo.

E’ già ora di tornare, mi aspettano chilometri di strada e poi un aereo per riportarmi a Roma. Mi aspettano persone in giacca e cravatta curve sullo smartphone o sul PC. Mi guardo: sono anche io in giacca e cravatta. Ho anche io uno smartphone e un PC nella macchina a noleggio che mi ha portato sin qui. Ho anche un ipad, se è per questo. Ma ho voglia di altro.

Il Barolo ha fatto anche questo.

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