Ultimi refoli di Sardegna, prime gocce di nostalgia che non vanno via. Come non va via questo vino dalla bocca, grazie ad una persistenza clamorosa e, soprattutto, decisamente particolare.
Prodotto da uve bianche tipiche stramature della zona Sud della Sardegna, quel Sulcis che ricordiamo troppo spesso solo per il Carignano. Il vitigno in questione è un Nasco 100%, confesso la prima volta che lo provo. E la prima volta non si scorda, in genere, mai.
Si presenta giallo ambrato, una ruggine scarica che mostra subito la sua personalità e il suo tratto distintivo. Consistente e con tratti decisamente brillanti.
Naso intenso, complesso e fine, a tratti eccellente per come alcuni aromi spiccano e si definiscono: caramello e miele, che non riescono completamente a nascondere la caramella d’orzo; poi frutta esotica secca e note di metallo, ancora ruggine.
In bocca conferma tutto. La sua inconfondibile vena metallica lo porta ad essere un filino meno di dolce, quasi amabile. Abbastanza caldo, morbido, abbastanza fresco e, soprattutto, sapido. Dura un’eternità e a quest’eternità ci arriva con l’immancabile metallo accompagnato ad una inconfondibile nota di uva passa e sensazioni amaricanti di zagara.
Degustato, poi, a fine pasto da Luigi Pomata, ne fa il giusto termine di un edonismo irrinunciabile per me.
PS. Dedicato alla gente di Sardegna: forse chiusi, forse testardi, ma veri e italiani.