Niente. Una tela di Penelope. Proprio nel momento in cui penso di esserne uscito definitivamente, il vetro si riallunga come una gomma a rinchiudermi. E’ un vetro trasparente, che mi fa vedere fuori, come sarebbe stato o come potrebbe essere, ma come non è. E ricomincio a scavare, a volte o anche spesso col sorriso sulle labbra, per fare diventare spazio un buco, aria una fessura, mare una goccia. Ma quando commetto l’errore di pensare di esserne fuori e poter scegliere la direzione futura, ecco che qualcosa, ma quasi sempre qualcuno, mi toglie la bussola di mano e mi ricaccia dentro. Magari creandomi una campana più grande, qualcuno facendomene una enorme, ma sempre campana. E non mi basta. Ogni giorno che passa mi basta di meno, e per quanto cresca lo spazio diminuisce l’aria. E io provo e ricomincio, mi serve un buco grande perché voglio portare altri con me. Ma sono proprio loro che mi ricacciano dentro. Loro non vedono la mia campana, ma ne sentono magari un’altra che io stesso gli costruisco. L’unico nostro senso, l’unico nostro scopo è farci meno male possibile, trovare la massima intersezione con la campana di altri? Forse, ma non mi basta. Non più.