Nel rugby vince sempre il più forte. È una delle 10 cose che mi hanno insegnato da quando ho iniziato a pasticciare con la palla ovale. È sempre stato così, oggi è l’eccezione che conferma la regola. E forse sarebbe stato davvero troppo vincere a Twickenham, a casa dei maestri di questo sport. L’ultima volta che entrai in quel tempio, Mallett si inventò la partita più disastrata della propria gestione, provando Mauro Bergamasco a mediano di mischia. Fu il segno di un’Italia improvvisata, alla ricerca di una mossa disperata per trovare il jolly.
Ecco, quell’Italia non c’è più, è cresciuta e sta crescendo. E in questo percorso che Brunel sta conducendo, ci ricordiamo più gli alti che i bassi, più le prestazioni straordinarie, vedi Francia e oggi, che le sconfitte meritate, vedi Scozia.
Nessuna meta subita non è un caso, ma il frutto di una partita strenuamente accorta in fase difensiva. Nei primi venti minuti debordanti di intensità saremmo crollati cento volte su cento nel passato, ma non più oggi dopo l’espulsione temporanea di Gori abbiamo vacillato, salvato una meta con un braccio miracoloso e spuntato dal nulla di Masi, ma abbiamo subito solo una punizione.
E nel secondo tempo il capolavoro, non solo per merito della bellissima meta opera del duo Orquera-McLean, ma sopratutto per la capacità di tenere ritmo, spinta e palla.
Ci abbiamo creduto tutti in quegli ultimi cinque minuti di spinta a pochi metri dalla linea di meta, avremmo voluto essere dietro a Masi quando si è voltato alla disperata ricerca di un compagno cui passare l’ultima, decisiva palla da meta, ma è andata in modo diverso.
Perché, anche se raramente, anche il rugby mente: non sempre vince il più forte.