I secondi 40 minuti dell’Italrugby


Molti hanno sottolineato la grande differenza che l’Italia mette in campo fra primo e secondo tempo. Nei secondi quaranta minuti ricordiamo solo disfatte, a cominciare dalla partita di ieri, per arrivare al parziale di 13 a 3 contro l’Inghilterra all’Olimpico o al 15 a 6 allo Stade de France il 4 febbraio scorso.
Anche i mondiali dello scorso settembre hanno tracciato lo stesso esito fatale dei secondi quaranta minuti e quindi 27 a 0 di nuovo contro l’Irlanda e 24 a 0 dopo un meraviglioso primo tempo contro i Wallabies.
Seguo l’Italia e il rugby in generale da circa sette anni e quindi devo dire che la cosa non mi sorprende. Mi sorprende semmai sentir parlare di calo fisico e di calo psicologico. Secondo me non si tratta di calo, ma di 120% dato nel primo tempo quando l’Italia, ben conscia di essere la più debole fra tutti e tutte, cerca sempre l’impresa. È qui il problema, abbiamo ancora una mentalità provinciale e non basterà il miglior allenatore del mondo a cambiarla. Servono a mio parere due cose, che proiettano in un futuro non vicinissimo allori e successi: tempo e una nuova generazione di giocatori: quelli che non si sentono campioni perché hanno portato il rugby italiano nel Sei Nazioni, ma che sono nati guardando questi qua e sognando di vincerlo, il Sei Nazioni. E adesso, ahimé, credo che stiano ancora giocando nelle under 10.

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