Essere sposati con una ragazza quasi totalmente astemia, per un amante del vino, è a volte un piccolo problema. Il problema è tanto più grande se si considera che la stessa ragazza è la compagna abituale delle mie puntate al ristorante. La cosa deve far pensare, non tanto al matrimonio in sé, quanto al momento nel quale al ristorante ci si trova a scegliere il vino. Il quadro si completa con il contorno della paura che si ha, non nascondiamocelo, nell’aver sempre sopra la testa la spada di Damocle dei limiti di alcool previsti dalla legge.
Finisce quindi, ahimè, che o mi porto il residuo della bottiglia a casa (ma vi confesso che non ci riesco se non nei ristoranti ove mi conoscono bene) o che mi accontento di vino al calice. E qui mi arrabbio, perché la scelta è sempre limitatissima, il vino magari è aperto da tempo e cerco di non girarmi verso le bottiglie esposte sulle mensole.
Ma perché i grandi marchi non producono formati più piccoli? Alcuni fanno le 0,375, ma sono pochi e non i grandi nomi. Forse che quello snobismo di cui scrivevo tempo addietro si annida anche qui. O forse esistono alcuni costi incomprimibili che farebbero lievitare il costo dei formati piccoli a danno delle chance di vendita.
Sinceramente, io non lo credo. Credo sia alla fine solamente un problema di immagine e un colossale errore di marketing. Fatemi vedere un Brunello, un Barolo, un grande Amarone da 0,375 lt sui tavoli dei ristoranti. Poi ne parliamo. Anche del beneficio che questi vini, anche nei loro formati più grandi, ne trarrebbero.
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