Il clamore mediatico suscitato dal naufragio della Concordia si sta lentamente attenuando, come nelle migliori tradizioni giornalistiche e popolari. Anche per questo scelgo questo come momento per parlarne. Però non voglio scrivere nulla del Comandante, delle rotte, della Costa, della signorina bionda e della scatola nera. No, voglio scrivere di quelli che ne parlano.
Tutta la storia e la mobilitazione popolare che si è scatenata intorno all’evento mi appare quale drammatico e fulgido manifesto del lato maggiormente negativo della rete e dei Social Network in particolare, intesi quale strumento distribuito e periferico. Escludendo post ironici e parodie comiche sull’argomento, che con benevolenza potremmo classificare come “satira” (e, come tale, intoccabile in Italia pena l’esser tacciati di arretratezza culturale se non politica), l’affannarsi della maggior parte degli utenti a postare sulle proprie bacheche insulti al Comandante, inviti a passare a miglior condizione o altro è stato sicuramente uno sport assai praticato. Senza voler difendere o colpevolizzare, mi limito ad osservare come tali strumenti ben si prestino (e soprattutto spesso siano usati in tal senso) a massacri mediatici a catena, senza possibilità di appello. Come in una moderna catena di Sant’Antonio dell’accusa.
E si potrebbe aumentare la cattiveria dell’osservazione se ci mettiamo in mezzo anche la rapidità con la quale tali nuovi mezzi consentono di diffondere non solo notizie utili/veritiere/altrimenti irricevibili, ma anche clamorosi fake (vedasi le immagini del naufragio risalente ad anni prima o il commento su Twitter di un fantomatico ministro e reazioni borsistiche varie). La corsa al “condividi”, al “like” e al “retweet” è diventata quasi un riflesso incondizionato che non ci fa rendere conto del viaggio che quel clic può fare e dei punti che può toccare.
Proprio in giorni come questi nei quali si discute in America di leggi restrittive per la libertà di espressione su web, non voglio trincerarmi dietro a un muro e mi chiedo: no alla censura e sono d’accordo, ma senza freni è giusto? Come possiamo limitare tutto questo? Ho paura che se, come credo sia auspicabile, non vogliamo un controllo centralizzato siamo gioco forza costretti a demandare tutto all’etica della periferia, degli utenti. E questo, con questi strumenti che abbiamo in mano, mi spaventa non meno della censura.