New Deal Digitale: e dietro lo slogan?


Non potevo non infilarmi in una discussione  che in questi giorni sta riempiendo i social network, le comunità dei cosiddetti innovatori (?!) e anche la carta stampata: il New Deal Digitale. Detto in maniera terra terra, ci si riferisce con queste parole alla necessità di elaborare un piano legislativo nazionale centrato sull’accessibilità massiva della popolazione alla banda larga (Internet) che sia quindi da stimolo per la nascita di start-up (nuove imprese) e quindi per il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Il titolo è abilmente preso, ovviamente dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt, il quale negli anni a ridosso della grande depressione innescata dalla crisi del 1929, fu fautore di un vasto piano di riforme che diedero il via ad una nuova era di sviluppo per gli Stati Uniti d’America.

Ora io non ho dubbi sul fatto che l’ICT costituisca una (ma scrivo una intesa come una delle tante, non una come unica) leva per il rinvigorimento della competitività delle imprese, posso credere che ci sia una dimostrata correlazione fra l’adozione della banda larga e la crescita della produzione, ma nutro seri dubbi sul fatto che questa sia la strada da imboccare (per i malevoli, strada maestra intendo … non ci vuole Keynes per dire che farebbe bene sviluppo nelle nuove tecnologie). È solo che, un po’ perché sono appassionato di tecnologia, un po’ perché, guarda caso, ci lavoro, soffro di una certa orticaria acuta a sentir parlare di più banda = più lavoro, più Internet per tutti (e non fate battute), più ICT per le imprese e tutto questo senza fare uno straccio di esempio.

E non venite a parlarmi di eCommerce, come stanno riprovando a fare in questi giorni, altrimenti abbiate il coraggio di spiegare alle piccole società italiane che stanno chiudendo sotto i colpi di giganti che vendono a prezzi insostenibili per la concorrenza, facendo terra bruciata attorno. È l’effetto della globalizzazione direte voi, certo rispondo io, ma si può dire che è brutto o no? O per lo meno, si può evitare di dire è una linea di sviluppo? Non prendiamoci in giro.

Ho come la sensazione che l’Italia stia su un treno in corsa verso un muro. Un treno che è partito dalla stazione dell’agricoltura, è passato in quella industriale/manifatturiera, si è un po’ fermato in quella del terziario, ha provato a far salire passeggeri alla stazione della finanza e ora vede come unico capolinea quello della new technology. Non più un paese economicamente basato sui servizi, ma su un servizio. Aiuto.

Sono d’accordo con Marchionne quando dice “fatemi sapere se l’Italia vuole continuare ad essere un paese manifatturiero”. La risposta mi è sin troppo chiara, ma temo lo sia anche a lui. Assolutamente no. Fate una prova, chiedete a 100 ragazzi che frequentano il liceo cosa vogliono fare  da grandi. In un’età nella quale non si crede più a fare il poliziotto, l’astronauta o l’esploratore, vi diranno quasi tutti che vogliono lavorare nelle nuove tecnologie e in ambienti dinamici. Spiegategli per favore che non si gioca alla PlayStation e che quelli che lavorano a Facebook non sono poi molti. Non è colpa loro, è colpa nostra.

Chi parla di competitività per le imprese (e non parlo dei colossi, parlo delle piccole aziende che costituiscono il tessuto produttivo italiano e che stanno boccheggiando), ha provato a chiedergli se vogliono un provvedimento per la banda a 10 Mbit/s o se preferiscono facilitazioni nell’accesso al credito. Mi piacerebbe una cosa:  che il prossimo articolo che uscirà sul tema, finisca con una frase dell’autore  che dice: credo talmente tanto in quello che scrivo che ho fondato una nuova azienda Internet-based e vi faccio vedere come funziona. Sarò il primo ad applaudire.

Tanto per chiudere con le provocazioni e fare insieme un po’ di ripasso, direttamente da Wikipedia le linee principali del Piano Roosevelt (altro che 3 linee guida…):

  • l’Emergency Banking Act che istituì una vacanza bancaria di alcuni giorni al fine di sondare la liquidità e la solidità degli istituti di credito e che assoggettò le banche al controllo dell’amministrazione federale;
  •  l’istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation che assicurava tutti i depositi bancari sino a 2.500 $;
  •  la sospensione del gold standard che comportò la svalutazione del dollaro e rese possibile il ricorso all’esportazione delle merci come sbocco per la sovrapproduzione statunitense;
  •  l’Economy Act che introdusse il bilancio federale di emergenza;
  •  l’Agricultural Adjustment Act che attribuiva contributi in denaro a quegli agricoltori che avessero limitato la produzione agricola in modo da mettere un freno alla caduta dei prezzi che aveva costretto sul lastrico milioni di agricoltori dell’est.
  • l’istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee;
  •  l’istituzione della Work Progress Administration, altra agenzia governativa che gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche;
  •  l’approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva;
  •  l’approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l’adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei minimi salariali;
  •  l’approvazione del Social Security Act che istituiva un moderno welfare state di cui i lavoratori statunitensi erano stati sino ad allora sprovvisti.

 

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