15 dicembre, 8 di sera.
Esco da una riunione e mi accorgo di essere li’ dove cinquant’anni orsono Fellini girava la Dolce vita. E il tempo sembra non essersi fermato: tutte le colonne dell ‘entrata dell’Hotel Excelsior sono arrotolate da luci blu elettriche lampeggianti, il portiere e’ vestito come un paggetto del Quirinale, una Ferrari nera lucida lucida e’ parcheggiata sul marciapiede, un’altra passa sulla strada, una signora francese di mezza età con addosso più ermellini che capelli e mille gocce di Chanel di piu’ di quelle che Marylin usava per dormire riprende il tutto con la videocamera, le vetrine di Gucci fanno luce, i bicchieri sui tavoli dei bar all’aperto fanno rumore, il prosecco fa le bollicine.
Una signora anziana che sembra capitata li’ per caso si guarda attorno con aria stupita. Procede lentamente, zoppicando leggermente, e ogni tanto gira la testa a seguire una scia luminosa. Mi si ferma accanto: “Giovanotto, mi aiuta ad attraversare la strada?”
“Certo signora, si figuri, venga che la aiuto. Come si chiama?”
“Italia”
Anni ’60. Generazione destinata a lavorare fino al ’30. Poi verrà spenta automaticamente per non dare troppo fastidio.
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