Prima che arrivino giornali, siti web e studi aperti a bombardarci con le 10 cose dell’anno che sta finendo, ci penso io a stilare la mia personalissima classifica delle 5 parole più in voga. Con l’aiuto di uno special guest, che dopo vi presento, a scrivere le cose serie.
SPREAD: la sempre geniale Luciana Litizzetto ne ha sottolineato il carattere onomatopeico. Voi lo sentirete almeno 20 volte al giorno, escluse le volte che lo nominano in televisioni o che lo scrivono sui giornali. Lo sentite al bar, mentre togliete lo zucchero a velo dal cappotto nero nuovo, dai due autisti dell’autobus vicino a voi: “aho, a quanto stà oggi o spred? A 500, ahò, ma te rendi conto? Se domani nun scende ne compro un paio”. Ma chi se ne rende davvero conto? Come il nostro special guest spiegherà sotto, è una sorta di misura della differenza di prestazione economica fra noi italiani (scarsi) e i tedeschi (ottimi). E come tutte le storie, statistiche e scritture che segnano la differenza fra noi e il popolo di Germania, sono immancabilmente bollate con la fatidica frase: “Ma se sa, quelli so’ tedeschi. Speramo che armeno nun sale er prezzo daa bira”.
DEFAULT: gli informatici associano il termine “default” alla configurazione base di un sistema/dispositivo (in sostanza quelle alle quali si torna dopo aver schiacciato con una matita ben appuntita il pulsante di reset); l’operazione equivale ad eliminare tutte le opzioni, le cose in più sostanzialmente, e tornare allo stretto necessario che serve per funzionare. Ecco, l’esempio mi è venuto meglio di quello che pensavo. È proprio così che rischiamo di dover fare, togliere i superflui che non ci possiamo permettere e tornare al punto di partenza, senza passare dal via e senza le 20.000 lire. Ora lo dico, io penso sinceramente che sarà dura ma ci farà bene, perché non ne posso più di gente che si lamenta di non arrivare a fine mese ma non rinuncia ad andare in giro con le ultime Adidas, o ad esultare per l’arrivo dell’ultimo iPhone salvo comprarlo due giorni dopo e dire che lo ha preso da un amico a prezzi stracciati…come no, se hai un amico ricettatore. Ma è la vecchia storia del consumismo come status symbol e del non voler apparire da meno. Ci farà bene, ossia, ci farà male ma per farci bene (il default intendo).
APP: Steve Jobs è stato qui, e si vede. È come il telefono, tutti lo usiamo e nessuno pensa che c’è stato un signore che lo ha inventato. Le App sono così, tutti le usiamo e tutti le stanno vendendo, ma lui le ha inventate al punto da registrare il marchio. Ora fanno parte della nostra vita quotidiana come la mail quando due o tre anni fa non sapevamo nemmeno cosa fossero. Riflettete sulla velocità del mondo. Chi si ferma è perduto. Per non fermarsi, basta scaricare l’apposita App.
CLOUD, nel senso di servizi cloud e tecnologia cloud: non mi dilungo sulla definizione tecnica, anche perché non servirebbe. Oggi tutto è cloud, o meglio, oggi tutto viene venduto come cloud. Come ho scritto da altre parti, non mi piace (ma purtroppo non mi scandalizza) la “ridefinizione che il marketing sta volutamente facendo del termine cloud, in modo tale da ricomprendervi all’interno ogni cosa che già stiamo facendo e, spesso, anche da diverso tempo. Cloud è solamente il termine che più di altri ha avuto la fortuna e il merito di essere mnemonico, di poter essere stilizzato graficamente in maniera semplice, di essere comunicato facilmente, di divenire quasi un brand insomma”. Io vi avverto, aprite l’ombrello.
ALLUVIONE: Purtroppo devo mettercela, ormai è una parola incubo un po’ per tutti. La sequenza che ha colpito l’Italia è stata devastante, per frequenza, impatto ma soprattutto per la consapevolezza cha ha infuso in tutti noi. E questa consapevolezza dice che non siamo pronti a gestire queste situazioni, ad affrontare questi ormai innegabili cambiamenti climatici. La signora che porta da mangiare ai gatti sotto il mio ufficio dice che è giunta l’ora dell’Apocalisse. Ora, lei non è lucidissima e io non sono né religioso né superstizioso, ma vi avverto, le cavallette mi fanno senso. Preparo le valigie …
A questo punto interviene lo special guest, MOMOTECH (lo potete seguire @morando2020), al quale ho chiesto di scrivere delle definizioni più o meno semplici di “spread” e “default” a beneficio mio e di chi vuole. Eccole di seguito.
Tecnicamente lo spread è il differenziale tra il rendimento di un titolo di Stato di un singolo Paese e l’unità di misura rappresentata dai titoli pluriennali dello Stato tedesco (i famigerati “Bund”), che sono i più affidabili e solvibili. 100 punti di spread significa 1% di rendimento in più richiesto rispetto ai titoli tedeschi e così via. Lo spread sale se scende la fiducia nei titoli di Stato nazionali (i BTP italiani, Buoni del Tesoro Pluriennali, per esempio), vale a dire la percezione che lo Stato sia effettivamente in grado di pagare gli interessi dovuti. Meno sei ritenuto affidabile e più ti costa chiedere credito. Come nella vita reale, ma qui il tasso di usura non c’è, fallisci prima. Oggi navighiamo attorno a 500 punti e questo da l’idea della drammaticità della situazione, specie se perdura nel tempo, visto che il nostro debito è di quasi 2.000 miliardi di euro. La resa dei conti è molto, troppo, vicina, dato che all’inizio dell’anno prossimo dovremo rinnovare diverse decine di miliardi di BTP e se le condizioni rimangono quelle attuali, o addirittura peggiorano, la bancarotta del Paese rischia di non essere un’esercitazione scolastica.
Si parla quindi di rischio di “default”, vale a dire insolvenza, nel momento in cui gli Stati non sono più in grado di pagare i tassi di interesse richiesti. Se lo Stato non è più in grado di collocare nuovi Buoni del Tesoro per sostituire quelli in scadenza o per finanziare nuovo debito, tecnicamente “fallisce” e va in bancarotta, trascinandosi potenzialmente dietro tutte le componenti del sistema finanziario che sono esposte nei confronti di quel Paese. Per un Paese fortemente indebitato come l’Italia, trovare una soluzione è particolarmente complesso per una serie dei motivi, ma essenzialmente perché da un lato occorre bloccare l’emorragia, fermando il peggioramento del fabbisogno corrente (intervenendo su taglio dei costi o incremento della tassazione) e, dall’altro, creare le condizioni di sviluppo che consentono di ridurre il rapporto tra debito e Prodotto Interno Lordo (PIL). Come insegna l’esperienza greca, misure draconiane rischiano di far crollare il PIL e quindi si innesca un circolo vizioso dove il rapporto debito/PIL continua a peggiorare, portando al tracollo. Che fine rischiamo quindi di fare? Lo spettro è la Grecia, la salvezza la nostra dimensione. In sintesi, se salta l’Italia salta definitivamente l’euro, portandosi dietro un bel pezzo del sistema finanziario europeo, a cominciare dalle banche francesi fortemente esposte nei nostri confronti (voilà Monsieur Sarkozy). Questo perché il nostro debito è enorme rispetto a quello degli altri “Piigs” (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna). L’euro ci ha portato all’interno di un modello economico potenzialmente stabile e virtuoso, ma non dimentichiamoci che in questo modo abbiamo rinunciato definitivamente al gioco vizioso dell’incremento del debito e delle svalutazioni competitive che abbiamo in passato utilizzato a piene mani per promuovere lo sviluppo. In una situazione del genere diventa inutile cercare i responsabili o dichiarare che non si intende partecipare a sacrifici ingiusti provocati da errori di cui non siamo responsabili. Siamo e saremo tutti coinvolti. Dobbiamo innanzitutto aiutare ad aiutarci e naturalmente negoziare al meglio cosa significa Unione Europea.
Aggiungerei:
PATRIMONIALE: questa sconosciuta… o meglio questa “facciamo finta” sconosciuta. Parola dal semplice signnificato: imposta (leggasi tassa) sui beni di proprietà (immobili o finanziari che siano)… E qui la domanda sorge spontanea: ma è così difficile accettare che chi ha di più deve contribuire di più?
ANZIANITA’: ahahahahah… mi vien da ridere…… ve lo immaginate i poveri “informatici” (scelgo una categoria a caso, ma l’esempio è valido per tutte le categorie!!!!) all’età di 70 anni alle prese con l’ultimo iper-mega-ultra computer sottilissimo e microscopico? Oppure l’impiegato dietro allo sportello che non capisce quello che stai chiedendo? (no… questa spesso è già realtà!!!!). E anche qui una domanda sorge spontanea: ma perchè devo pagare questi cazzo (scusate il francesismo) di contributi se poi alla pensione non ci arrivo? Ah, è vero! Forse per per mantenere quei cazzo (altro francesismo!) di vitalizi che basterebbero per mantenere centinaia di pensionati!!!!!!
Bah per ora… penserò ad altre “parole”……..
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